mercoledì 3 febbraio 2010

"Sì, c’ero anch’io a quel tavolo: gli regalammo un fermacarte con lo stemma dei Servizi Usa"



Alla cena di Natale nella caserma dei carabinieri di Roma, quella con Antonio Di Pietro seduto accanto al numero tre del Sisde indagato per mafia Bruno Contrada (che di lì a poco verrà arrestato dalla procura di Palermo con accuse infamanti) quel 15 dicembre del 1992 c’era anche l’«americano». Anche se in foto non compare, effettivamente presenziava pure Rocco Mario Mediati, personaggio conosciuto nel mondo dell’intelligence e della sicurezza internazionale. Questo signore è noto come «secret service», specializzato nelle scorte e nelle «bonifiche» in occasione delle visite delle delegazioni statunitensi. Esperto anche di frodi informatiche, specialista in contraffazioni di dollari e carte di credito, un uomo tuttofare che col tempo ha fatto una carriera folgorante. Se lo si cerca attraverso il centralino dell’ambasciata Usa in via Veneto a Roma te lo rintracciano con una discreta celerità. In serata il Giornale riesce a contattarlo. Ecco il botta e risposta con l’«americano».
Allora, signor Mediati, è sorpreso?
«Sorpreso è dire poco. Casco dalle nuvole».
In che senso?
«Non me l’aspettavo dopo tanto tempo».
Cos’ha da dire di quel pranzo con Di Pietro?
«Intanto non era un pranzo ma una cena. Era per le feste di Natale. Sono state scritte un sacco di cose poco corrette, alcune proprio sbagliate».
Precisiamole.
«Non mi interessa. Non ne ho voglia».
Faccia uno sforzo, è importante.
«Non so e comunque...».
Dica.
«Guardi sono tantissimi anni che faccio questo lavoro, conosco tanta di quella gente e non c’è niente...».
Provi a ricordare.
«Per quello che ricordo io... Semplicemente una cena per le feste. Sono stato chiamato, ero a casa...».
Consegnò lei la targa-premio o targa-ricordo a Di Pietro?
«Sì, cioè, mi spiego. Non si trattò di una vera e propria targa bensì di una specie di fermacarte con lo stemma del Servizio sopra. Per quanto ricordi non fu messa alcuna dedica. Ricordo che venni chiamato, ero a casa, fu una serata piacevole. Si parlò di tutto e di niente. Questo è quello che le posso dire».
Lei non lo ha più visto Di Pietro?
«Io? No, non l’ho più visto».
E in ambasciata l’ha mai visto Di Pietro? Un senatore della Repubblica, De Gregorio, citando alcune sue fonti sostiene che Di Pietro fosse andato più volte all’ambasciata dove lei presta servizio.
«Allora se chiede a me, le dico che io personalmente non l’ho visto, io».
Scusi l’insistenza, ma chi la chiamò per la cena con Di Pietro e Contrada?
«Adesso non ricordo. Conoscevo bene, sin da quando era capitano, l’allora colonnello Vitaliano che prestava servizio al reparto operativo di Roma».
Scusi Mediati, ma lei ufficialmente che lavoro svolge? Che incarico ha in ambasciata?
«Sempre quello che era all’epoca. Il Servizio per cui lavoro riguarda la polizia federale. Sono un impiegato italiano che lavora per un corpo americano».
Non è un agente...
«Qui non c’è nessuna spy story, c’è solo una cena con dei carabinieri, un funzionario dei servizi segreti italiani, il pm Di Pietro e il sottoscritto. E anche se il mio servizio di appartenenza si chiama servizio segreto, in realtà non è un servizio segreto vero e proprio».
Prego?
«È così».
È mai stato coinvolto in qualche inchiesta in Italia o in America?
«Mai. E poi io sono cittadino italiano, non americano».
Anche se la chiamano l’«americano».
«Appunto».
Ma lei ha lavorato o no per l’agenzia di investigazioni Kroll?
«Mai».
Sicuro?
«Sicurissimo».
E allora com’è uscita questa cosa della Kroll?
«E lo chiede a me? Grazie, adesso ho una riunione. Arrivederci».
Dei rapporti di Tonino con gli americani (in senso lato) si è detto e scritto molto, specie dopo l’uscita dell’ex pm che preannunciava l’imminente pubblicazione di un dossier sul suo conto. A proposito dei viaggi-conferenze organizzati negli Usa per Di Pietro da parte di due nemici giurati del popolo dipietresco come Michael Leeden (preso di mira da Repubblica nella campagna stampa sul governo italiano che tentò di rovesciare il regime di Teheran) e come Edward Luttwak (crocifisso sempre da Repubblica perché dall’inchiesta sul sequestro Abu Omar venne fuori che parlava con Pio Pompa, il funzionario Sismi dell’archivio in via Nazionale a Roma). I due politologi hanno confermato il contatto: Leeden ha ricordato che portò in giro Tonino e che poi cenarono addirittura a casa, Luttwak che gli organizzò una importante conferenza. Per non dire dei sospetti d’intelligence avanzati dal faccendiere Francesco Pazienza in un suo libro mai querelato, a proposito delle indagini segrete di Tonino alle Seychelles (all’epoca pm a Bergamo) per catturare il latitante dell’Ambrosiano. Oppure dell’architetto Bruno De Mico, che collaborò a Mani Pulite, e che parlò di strani «ambienti americani» interessati alle inchieste del pool.