venerdì 20 novembre 2009

Brenda, il pc ei segreti sugli altri ricatti‎



Il nome di Brenda non è legato solo allo scandalo Marrazzo. Ma il trans brasiliano avrebbe potuto fare luce, forse, su altri vip filmati o fotografati duranti incontri a luci rosse e poi ricattati. Le indagini della procura puntano ad accertare se il trans fosse coinvolto in un’attività di dossier in conto terzi. Per questo saranno setacciate agende e rubriche del trans alla ricerca di contatti e amicizie. L’ipotesi è che Brenda potesse essere l’anello operativo tra ricattati e ricattatori. E non solo per soldi. Il trans Brenda chiamava Marrazzo alle utenze fisse della sua segreteria alla Regione Lazio e si qualificava col suo nome di battaglia. Chiamate non isolate e che ora sono nel fascicolo di indagine. Telefonate annotate insieme a quella di uno dei quattro carabinieri arrestati per la presunta estorsione, Carlo Tagliente. Tutte tessere di un puzzle che autorizzano gli investigatori a ritenere che il ruolo di Brenda andasse ben al di là di quello di vendere i propri favori sessuali. Del resto la stessa Brenda aveva ammesso agli investigatori durante un interrogatorio di avere un secondo video che la ritraeva con Marrazzo e un altro trans, Michelle. "Certo, avevo quel video, lo custodivo nel mio pc ma l’ho distrutto perché avevo paura" si legge nel verbale di interrogatorio di Brenda reso i primi di novembre ai Ros. Parla di foto e video fatti durante incontri in un appartamento nella disponibilità di Marrazzo che tuttavia non è la residenza ufficiale dell’ex governatore, ma una casa in via Cortina d’Ampezzo, forse la stessa casa dove si reca Natalie, l’altro trans, dopo il blitz dei due carabinieri infedeli (Luciano Simeone e Carlo Tagliente) nell’appartamento di via Gradoli 96. Brenda però dopo avere ammesso di avere distrutto il secondo video non aggiunse altro. Atteggiamento che insospettì gli inquirenti convinti che il trans nascondesse ancora tanto sul suo ruolo nell’affaire Marrazzo. I magistrati sospettavano e sospettano di un ricatto cominciato già all’inizio di quest’anno, ma anche di altre possibili estorsioni nei confronti di altri potenti. Interrogato dai carabinieri del Ros, Brenda parla dunque di incontri "nella casa" del governatore di via Cortina d’Ampezzo. Secondo il trans Marrazzo qui viene fotografato durante gli incontri a cui avrebbe partecipato anche Michelle, un altro transessuale che Marrazzo conosceva. "Insieme e me e a Marrazzo - spiega Brenda ai carabinieri del Ros - c’era anche Michelle, che aveva una copia del video ma adesso Michelle è a Parigi". Gli investigatori, dopo l’interrogatorio di Brenda, erano e sono convinti che altri personaggi, magari clienti di Brenda, potrebbero essere stati immortalati in video. E in questo quadro convergono le indagini su un altra morte sospetta su cui la procura sta cercando di far luce, quella del pusher fornitore di cocaina a trans e clienti vip, Gianguarino Cafasso, morto per overdose il 12 settembre scorso in un albergo a ore di via Salaria a Roma. Cafasso, molto amico di Brenda, sarebbe stato il detentore del video completo di Marrazzo, quello di 13 minuti, e a detta dei carabinieri infedeli, colui che avrebbe girato loro il promo del film nell’appartamento di via Gradoli. Una tesi a cui la procura non crede. La morte di Cafasso, dopo quella di Brenda, appare ancora più inquietante. Teste del decesso la fidanzata Jennifer, altro trans, che dichiara di "avere gettato il telefonino di Cafasso dopo che era morto perche squillava continuamente". Cosa conteneva quel cellulare? Altri video compromettenti? E cosa conteneva il pc di Brenda e il suo telefonino, rubato circa dieci giorni fa dopo che il trans fu picchiata e aggredita? Interrogativi che sono all’esame degli investiagtori e del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo che per la morte di Rino Cafasso ha disposto esami tossicologici più approfonditi per vederci chiaro su quella overdose.

martedì 10 novembre 2009

Via Poma, processo per il fidanzato di Simonetta Cesaroni


Ci sarà un processo per l’omicidio di Simonetta Cesaroni, il primo dopo quasi venti anni di indagini. E a subirlo sarà il suo ex fidanzato Raniero Busco, perché ieri il gup Maddalena Cipriani ha deciso che l’uomo andava processato per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, e ha fissato l’udienza al 3 febbraio prossimo davanti alla III Corte d’assise. Meno di un’ora di Camera di consiglio, e poi la lettura della decisione: «Preso atto del capo di imputazione e delle prove addotte dal pubblico ministero che corrispondono a tre indizi, di cui due sicuri e uno probabile e, preso atto che la prova contraria non è stata dimostrata, si dispone il rinvio a giudizio di Raniero Busco». Poche righe che fanno precipitare nell’abisso l’uomo che, nel ’90, ha avuto un relazione con la vittima. Gli elementi che la procura, rappresentata dal pm Ilaria Calò, ha portato a sostegno della tesi accusatoria sono principalmente scientifici. Si è arrivati a Busco forse quasi per esclusione, perché quando tutti i reperti sono stati presi nuovamente in esame e rianalizzati con le moderne tecnologie, è venuto fuori un Dna da una traccia di saliva. I periti lo hanno isolato sul reggiseno che indossava Simonetta nel momento in cui venne uccisa, e corrispondeva proprio a quello di Busco. A quel punto, gli inquirenti hanno pensato che tutti i codici genetici dei “sospettati” in questi ultimi venti anni andassero rifatti. Ed è venuta fuori la traccia che ha portato alla iscrizione sul registro degli indagati dell’ex fidanzato. Il pubblico ministero Roberto Cavallone, titolare dell’inchiesta prima di essere nominato procuratore capo a Sanremo, ha pensato che, comunque, non bastasse questo solo elemento per poter sostenere un’accusa in Assise ed è andato avanti con le indagini.
Si arrivò a una traccia di sangue sulla porta dell’ufficio di via Poma, non analizzata, e a un morso sul seno sinistro della vittima. Il primo elemento non ha dato esiti certi, anche se non ha escluso che potesse trattarsi anche del Dna di Busco, il secondo invece ha portato a risultati inaspettati. La ferita sul seno, infatti, era caratterizzata da un particolare: l’accavallamento dei denti dell’arcata inferiore di chi l’aveva fatta. E corrispondeva a quella dell’ex fidanzato, almeno secondo le conclusioni dell’accusa. A questo, poi, si è aggiunto che anche l’alibi presentato dall’uomo faceva acqua. L’amico che avrebbe dovuto fornirglielo, aveva ricordato che il giorno del delitto era fuori Roma. Quindi, non con Raniero. L’avvocato Paolo Loria che lo difende, dice che «quanto sta accadendo è assurdo e paradossale, perché Busco non ha niente a che vedere con l’omicidio. Voleva bene a Simonetta e non aveva ragioni per ucciderla». Ma il gup ha ritenuto che gli elementi fossero sufficienti per un processo e lo ha rinviato a giudizio. Qualche perplessità iniziale sulle accuse a suo carico sembra averla avuta anche il legale della famiglia Cesaroni, Lucio Molinaro, secondo il quale la consapevolezza che potesse essere stato lui ha preso forma man mano che i periti illustravano le loro conclusioni. E la mamma della vittima, Anna Di Giambattista, proprio per questo non riesce a darsi pace: «Perché ci hanno fatto subìre tutto questo dolore? – dice – Non potevano fare questa indagine venti anni fa? Il morso è stato rilevato anche dal primo medico legale con l’autopsia».
Certo, la Corte d’assise avrà un bel lavoro da fare e una difficile decisione da prendere, perché sono tanti gli aspetti che rimangono misteriosi. Se Busco ha ucciso Simonetta, è sempre lui che ha pulito l’appartamento in modo quasi maniacale? E per quale ragione? Debole anche il movente e persino sul morso c’è qualcosa che andrebbe chiarito, perché l’arcata dentaria sulla quale si basano le accuse è quella inferiore, ma nelle foto del cadavere di Simonetta appare in alto. Come se l’omicida le avesse dato il morso a testa in giù.
Test del DNA. Tutti i tipi di organismi possono essere identificati mediante l’esame delle sequenze del Dna, che sono uniche per ogni specie. Per identificare gli individui, gli scienziati forensi esaminano 13 regioni del Dna che variano da persona a persona e utilizzano i dati per creare un profilo del Dna di quell’individuo. C’è una possibilità estremamente ridotta che un altro individuo abbia lo stesso profilo del Dna.

sabato 7 novembre 2009

Marrazzo, dimissioni bluff: è ancora stipendiato



Se questo è un dimissionato. Piero Marrazzo ha mollato la presidenza della Regione ma si consola con gli altri incarichi alla Pisana a cui fino a prova contraria non ha ancora rinunciato. E soprattutto con i relativi appannaggi. E non si tratta di mancette: se, come risulta, Marrazzo è ancora consigliere regionale, percepirebbe un’indennità mensile di 9.632,91 euro al lordo, oltre a una diaria forfettaria di 4003,11 euro netti, a cui vanno aggiunti gli eventuali rimborsi chilometrici e i 4.190 euro netti per le spese dei collaboratori e il rapporto con gli elettori. Insomma, il consigliere, ancorché formalmente «malato» Marrazzo si ritroverebbe comunque un accredito di circa 10mila euro al mese sul conto. In pratica poco meno di quello che prendeva da presidente: mancherebbero in busta paga solo i 7.607 euro lordi dell’indennità di funzione come presidente della giunta. Un premio di consolazione non del tutto disprezzabile.
Insomma, quando nel corso di quel drammatico 24 ottobre l’ex televolto di Mi manda Raitre ripreso da telecamere molto meno amiche in compagnia di un trans e di una strisciata di coca si autosospese badando bene di evidenziare che rinunciava «a ogni indennità e beneficio connessi alla carica»; quando nei giorni dopo trasformò l’autosospensione in dimissioni; e quando fu applaudito da tanti e da qualcuno anche additato a esempio (Bersani appena eletto segretario del Pd dixit: «Non ho visto ancora Berlusconi autosospendersi. Può darsi la settimana prossima... »). Quando tutto ciò avveniva, di altro non si trattava che dell’ennesima manfrina di questa triste vicenda.
Il fatto è che Piero Marrazzo attualmente è un ircocervo. O se preferite un minotauro. Insomma, uno di quegli animali mitologici un po’ così e un po’ cosà. Lui è un po’ dentro e un po’ fuori la Regione Lazio. E qualche burocrate acchiappacavilli dalle parti di via Cristoforo Colombo si sta scervellando sul suo status. Marrazzo Piero di anni 51 infatti risulterebbe ancora consigliere regionale: e a confermarlo è il sito della Regione Lazio, dove il suo nome figura ancora tra gli eletti, incastrato tra Mariani Giuseppe e Maselli Massimiliano, con buona pace di questi ultimi.
Sul busillis l’ultima parola sarà detta mercoledì prossimo, quando si riunirà l’Ufficio di presidenza convocato alla bisogna. A maneggiare la patata bollente sei componenti: un presidente, un vice e due consiglieri di maggioranza; un vicepresidente e un consigliere dell’opposizione. «L’orientamento dell’Ufficio legislativo - spiega il vicepresidente dell’Ufficio di presidenza in quota Pdl Bruno Prestagiovanni - sarebbe quello di ritenere che sussista per Marrazzo lo status di consigliere regionale e che le dimissioni lo abbiano fatto decadere solo da presidente della Regione». Sul che l’opposizione è pronta a dare battaglia: «Questa interpretazione è inaccettabile e faremo di tutto per non farla passare. Lo statuto - fa notare Prestagiovanni - al 1° comma dell’articolo 19, è chiarissimo: i componenti del Consiglio regionale sono 70 più il presidente.
Se, per qualunque motivo, si dimette un consigliere regionale, gli subentra il primo dei non eletti della stessa lista. Se si dimette il presidente non può subentrargli nessuno. Ecco perché Marrazzo non può essere più considerato consigliere regionale in carica». «Lo stesso concetto - spiega ancora l’esponente del Pdl - è contenuto nella legge regionale n° 2 del 2005: la persona eletta presidente della Regione viene considerata per estensione anche consigliere regionale. Il candidato sconfitto, invece, diventa consigliere regionale a tutti gli effetti e rientra nei 70. Se si dimette il presidente, si torna a votare». Anche perché ora il presidente facente funzioni è Esterino Montino, che non è stato eletto consigliere: quindi ci sarebbero al momento 71 consiglieri più il presidente. Un’ulteriore anomalia in un pasticcio che non ne ha certo bisogno.
E non è tutto. Marrazzo ha conservato (a meno che non si sia dimesso nelle ultime ore) anche un’altra «preziosa» prerogativa che gli derivava dall’essere stato eletto presidente della Regione: la presidenza della Fondazione Policlinico Tor Vergata, che gli frutta 36.738 euro netti l’anno. Più o meno lo stipendio di un primario di cardiologia dello stesso ospedale. Insomma, se Marrazzo è precipitato, ebbene: i paracadute hanno funzionato benissimo.

giovedì 5 novembre 2009

MARIO MORI: Le spontanee dichiarazioni




PALERMO, 20 OTTOBRE 2009
L’on. Violante, oggi, a diciassette anni dai fatti, ha ricordato gli incontri avuti con me, nel periodo tra la seconda metà del 1992 e l’estate del 1993, quando era Presidente della Commissione Parlamentare Antimalia, a proposito dei contatti che io ebbi con Vito Calogero Ciancimino.
Ripercorrerò a mia volta lo sviluppo, anche temporale, di quelle vicende, facendo riferimento non
già alla mia memoria, bensì a documenti di Organismi istituzionali, a materiali e pronunce di Uffici giudiziari, ad articoli di stampa ed alle mie agende di quegli anni. Si constaterà allora come la ricostruzione dei fatti proposta dall’on. Violante, a causa sicuramente del tempo trascorso, presenti molte lacune e significative inesattezze. “Per inquadrare e comprendere lo sviluppo dei fatti, è però necessario ricordare una serie di avvenimenti relativi agli anni 1991,1992 e 1993. Attraverso indagini avviate già nel corso del 1989 a seguito dell’omicidio di Giuseppe Taibbi (Baucina, 17.09.1989 ), mentre comandavo il Gruppo CC. di Palermo, avvalendomi del cap. Giuseppe De Donno e sotto la direzione del dr. Giovanni Falcone, era stato progressivamente penetrato il sistema di condizionamento degli appalti pubblici, giungendo alla constatazione che il settore, almeno per quanto concerneva la realtà siciliana, era controllato da un comitato d’affari al quale facevano capo politici, imprenditori e mafiosi.
Ricordo che, all’epoca, non era stata ancora avviata l’inchiesta della Procura della Repubblica di Milano denominata "Mani pulite" che prese avvio agli inizi del 1992. Una indagine del ROS, pur con tutte le difficoltà rappresentate da percorsi investigativi mai prima praticati, aprì senz'altro un nuovo ed importante scenario operativo nelle attività di contrasto alla criminalità organizzata. Il 20 febbraio del 199I ( vds. agenda 1991 ), il ROS depositò una informativa che dava conto della prima parte delle indagini, divenute poi ampiamente note come ‘Inchiesta su mafia-appalti ‘, consegna richiesta espressamente dal dr. Falcone, all`epoca Procuratore aggiunto, che stava lasciando la Procura di Palermo in quanto trasferito alla Direzione degli Affari Penali del Ministero della Giustizia.
Il magistrato ci sollecitò insistentemente il deposito dell’informativa, anticipato rispetto ai tempi
che ci eravamo prefissi, spiegandoci che ci sarebbe stato utile il suo iniziale avallo nel prosieguo
del’indagine che, sosteneva, 'non tutti vedevano di buon occhio e alcuni sicuramente temevano'. In quest’ ottica egli volle dare anche pubblicità alla particolare indagine e, intervenendo , meno di un mese dopo la consegna dell’informativa, ad un convegno tenutosi il 14 e 15 marzo 1992 al castello Utveggio di Palermo, organizzato dall’Alto Commissario per la lotta alla criminalità mafiosa, prefetto Domenico Sica, ne esplicitò volutamente le linee generali (vds. in allegato l’intervento del dr. Giovanni Falcone)".
Lo scontro fra Giammanco e Falcone. Nel memoriale, il prefetto Mori ricostruisce le fasi successive alla consegna del dossier “mafiaappalti” a Falcone, poco prima che il magistrato si trasferisse a Roma“Continuando a mantenere i contatti con il dr. Falcone che ormai aveva raggiunto Roma, venni da lui informato che il dr. Pietro Giammanco, procuratore della Repubblica di Palermo, con cui i suoi rapporti professionali erano problematici, non dava valore all’informativa, al punto di averla inviata all’on. Claudio Martelli,ministro della Giustizia pro tempore, ravvisandovi esclusivamente aspetti di rilevanza politica e che il ministro gliela aveva rimandata senza neanche leggerla,informando il Consiglio Superiore della Magistratura circa il comportamento del procuratore, da lui ritenuto non corretto (valgono nel senso le dichiarazioni rese daIl’on. Martelli il 12 marzo 1998 e il 30 luglio 1999 ai magistrati della D.D.A. di Caltanissetta, contenute unitamente alla ricostruzione delle vicende di quel periodo, nella richiesta di archiviazione datata del 9 giugno 2003, con primo firmatario il dr. Francesco Messineo, di cui al proc. pon. n. 4645/0, così detto "mandanti occulti bis ", archiviato con
Decreto del 19 ottobre 2003 dal Gip di Caltanissetta ). Il 22 marzo 1991 ( vds. agenda 1991 ) mi
recai dal presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, senatore Gerardo Chiaromonte,
che, informato dal dr. Falcone, voleva conoscere i contenuti e le prospettive dell’inchiesta Mafia e
Appalti, spiegandogli, nelle linee generali, lo stato dell’indagine. Il 4 aprile 199] ( vds. agenda 1991 ), venne tenuta una riunione nell’ufficio del dr Giammanco, presente oltre a me anche il gen. Subranni, comandante del ROS, volta a chiarire le valutazioni certamente non collimanti tra i due uffici sulla validità dell’informativa e indicate come discordanti anche da alcuni articoli di stampa apparsi inopinatamente in quei giorni. Nel corso dell‘incontro fu da me sollecitata una decisione da parte della Procura di Palermo sullo sviluppo dell’inchiesta, tenuto anche conto che ancora non erano state conferite le relative deleghe d’indagine, che saranno concesse solo nel corso del successivo mese di giugno, a pochi giorni dalle richieste che inoltrerà in merito la Procura stessa. Il 7 luglio 1991, la Procura di Palermo ottenne, per l’inchiesta Mafia-appalti , cinque provvedimenti di custodia cautelare, per associazione a delinquere di tipo mafioso ed altro, tra cui quello per Siino Angelo, che l’informativa del ROS indicava come l’anello di congiunzione, sino a quel momento accertato, tra mafia ed imprenditoria. L`esito fu per me molto deludente e non lo nascosi affatto, perché ritenevo che vi fossero altre posizioni, tra le quarantaquattro evidenziate nell’informativa, da prendere in esame per un provvedimento restrittivo. Ricordo che lamentai questa situazione di disagio nei contatti che continuavo ad intrattenere con il dr. Falcone, il quale mi procurò un ulteriore incontro ( 24.07.1991,vds. agenda 1991 )col senatore Gerardo Chiaromonte, a cui chiarii le mie perplessità in merito ai primi esiti dell’inchiesta. La stessa valutazione verme fatta dal dr. Falcone che, nei suoi diari consegnati alla giornalista Liana Milella, definì le richieste della Procura della Repubblica di Palermo, testuale: " scelte riduttive per evitare il coinvolgimento di personaggi politici " ( vds. pagg. 197 e seguenti dell’0rdinanza di archiviazione n. 958 . 959/98 del Gip di Caltanissetta, dr.sa Gilda Lo Forti, in data 15 marzo 2000 ). L’insoddisfazione divenne sconcerto quando, in esito alle richieste formulate al Tribunale del Riesame da parte dei difensori degli arrestati, invece che gli stralci relativi ai singoli indagati, venne consegnata loro copia dell’intera informativa. Ricordo che questa constava di 890 pagine di testo e di altre 67 pagine tra indici e schede riassuntive; anche dal punto di vista dell’economia di tempo e di carta, si sarebbe (atto prima a produrre le sole partì di singolo interesse piuttosto che consegnare ai cinque avvocati tutto l’incartamento. ln tale modo si svelò il complesso dei dati investigativi sino a quel momento posseduti dagli inquirenti, facendo comprendere in quali direzioni l’attività poteva proseguire. A ciò fece seguito lo smembramento dell’inchiesta, in quanto laProcura di Palermo, nelle varie vicende oggetto dell’indagine ravvisò la competenza di più Procure interessandole nel merito, ma sortendo anche l’effetto di inficiare la sostanza complessiva dell’ indagine”.
Uccisione Lima, "strategia del terrore"
“ll 12 marzo 1992, a Mondello di Palermo, venne ucciso l’on. Salvo Lima, esponente di spicco della corrente della DC rifacentesi all’on. Giulio Andreotti ed europarlamentare in carica. Il successivo processo evidenziò come questo omicidio costituisse l’inizio della 'strategia del terrore' decisa dai vertici di Cosa nostra. ll 4 aprile 1992, ad Agrigento, venne ucciso il M.llo dei Carabinieri Giuliano Guazzelli, comandante della Sezione di PG presso la locale Procura della Repubblica. Il sottufficiale aveva operato per lungo tempo anche a Palermo, quale effettivo al Nucleo investigativo dei CC. , sempre impiegato nel contrasto alle organizzazioni criminali di tipo mafioso. Negli ultimi tempi della sua vita professionale, Guazzelli si era interessato anche del settore degli appalti pubblici, collaborando con il ROS ( vds.Sentenza della Corte d'Assise d’Appello di Palermo - Sezione Terza — emessa in data 11.10.2004 alle pagg. 342 e 343 ). ln questo contesto, il 3 giugno 1992, il figlio del Mllo Guazzelli, Riccardo, riferiva informalmente al tenente Felice Ierfone del ROS di Palermo, che un loro parente, ing. Angelo Vetrano, aveva assistito ad un incontro tra il padre ed Angelo Siino.
Quest'ultimo, accompagnato da Cascio Rosario, imprenditore mafioso, dimostrandosi al corrente del deposito e del contenuto dell’informativa ‘Mafia e appalti’, chiedeva con insistenza al Guazzelli di interporre i suoi buoni uffici con il generale Antonio Subranni, Comandante del ROS, che per lungo tempo era stato suo superiore, perché fossero stemperate le accuse contenute nel documento, Al netto rifiuto espressogli, il Siino per la rabbia ed il nervosismo, vomitò davanti all'ingresso dell’abitazione dei Guazzelli dove si svolgeva l’incontro.
La vicenda, successivamente formalizzata, venne inserita nel processo intentato all’on. Calogero Mannino ed il 5 febbraio 1998, l’ing. Vetrano e Riccardo Guazzelli resero deposizione confermando i fatti come sopra esposti". Borsellino: "Non dite nulla agli altri pm" Palermo, 20 ott (Velino) - Il 23 maggio 1992 vennero uccisi a Capaci il dr. Falcone, la moglie, d. sa Francesca Morvillo e tre Agenti di scorta. ll 13 giugno 1992, il cap. De Donno, presente all’atto, apprese che il geometra Giuseppe Li Pera, uno dei cinque arrestati dell’indagine mafia e appalti, apertosi a collaborazione, aveva riferito al dr. Felice Lima, sostituto procuratore della Repubblica di Catania, di avere richiesto, tramite i suoi avvocati, di essere inteso dai magistrati di Palermo ai quali era disposto a svelare gli illeciti meccanismi di manipolazione dei pubblici appalti, ma di avere saputo che costoro non erano ‘ interessati a tale sua disponibilità ritenendola mera strategia difensiva’ ( vds. la già citata Ordinanza di archiviazione della d. sa Gilda Lo Forti alla pag. 75 ). ln quei giorni ebbi ripetuti contatti telefonici con il dr. Paolo Borsellino, che conoscevo da tempo, sinché il magistrato chiamò dicendo che mi voleva parlare riservatamente insieme al cap. De Donno. Decidemmo di vederci il Palermo il 25.06,1992 ( vds. agenda 1992 ), negli uffici del ROS, perché il dr. Borsellino, testuale: ’non voleva che qualche suo collega potesse sapere dell’incontro’.
ll magistrato, parlando principalmente solo con me, disse che riteneva fondamentale riprendere
l’inchiesta Mafia e appalti che rappresentava un salto di qualità investigativo, in quanto strumento per individuare gli interessi profondi di Cosa nostra e degli ambienti esterni con cui essa si relazionava.
La conferma che il dr. Borsellino ritenesse importante la prosecuzione dell’inchiesta Mafia e appalti, costituendo per lui uno strumento per addivenire all’individuazione dei responsabili della morte del dr. Falcone, trova pieno sostegno nelle dichiarazioni del dr. Antonio lngroia, rilasciate alla Corte d’Assise di Caltanissetta il 12 novembre 1997, il quale riferì che il dr, Borsellino gli aveva esternato la sua convinzione che, partendo dagli appunti contenuti nell’agenda elettronica del dr. Falcone relativi all’inchiesta Mafia e appalti, si poteva giungere all`individuazione dei moventi della strage di Capaci. Su quella ipotesi io ed il cap. De Donno, ci eravamo orientati dopo che ne avevamo lungamente discusso con il dr. Falcone, il quale attribuiva all’inchiesta un’importanza decisiva, in particolare per gli aspetti che riconducevano ai legami tra mafia-imprenditoria e mondo politico. Noi, dopo Capaci, collegavamo la morte del dr. Falcone a quelle di Salvo Lima e Giuliano Guazzellì, legate a nostro avviso da un unico disegno criminoso che scaturiva dal tentativo di neutralizzare gli elfetti di un'eventuale ulteriore sviluppo dell’inchiesta
Mafia e appalti. Ricordo, a riguardo, la frase testuale di Giovanni Falcone nel suo intervento al
convegno del castello Utveggio: ‘ la mafia è entrata in borsa’, volendo cosi sottolineare il salto di
qualità operativo di Cosa nostra e gli interessi che questo passo aveva coinvolto, anche al di fuori
dell’organizzazione criminale. Una affermazione, riportata nella già segnalata Richiesta di archiviazione per i ‘ mandanti occulti bis’ della Procura della Repubblica di Caltanissetta alla pag. 27, segnò forse definitivamente il destino del magistrato se si ricordano anche le dichiarazioni a riguardo di Giovanni Brusca che sottolineo la preoccupazione dei vertici di Cosa nostra per le
indagini che si andavano sviluppando sugli appalti. La nostra teoria investigativa trovò quindi
avallo anche in Paolo Borsellino, il quale mi chiese la disponibilità di De Donno e del suo reparto
per un’attività mirata alle iniziative economiche di Cosa nostra, spiegandomi che Giovanni Falcone gli aveva sempre parlato della sua notevole competenza investigativa, in specie nel settore degli appalti pubblici. Successivamente venne fatto partecipare all’incontro anche l’ufficiale col quale si rimase d’intesa che il magistrato, nel corso del mese successivo, esperite alcune attività di servizio tra cui una rogatoria in Germania, lo avrebbe convocato per iniziare l’attività. ln questa fase del nostro colloquio, il magistrato, nello spiegare a De Donno il suo indirizzo investigativo, fu ancora più esplicito e, legando l’assassinio del collega a quello di Salvo Lima, indicò l'inchiesta Mafia e appalti come la causale della morte di Giovanni Falcone. Nel salutarci il dr. Borsellino raccomandò ancora la massima riservatezza sull’incontro e su i suoi contenuti, in particolare nei confronti dei colleghi della Procura della Repubblica di Palermo. ln merito a questa vicenda, resi testimonianza ai magistrati della Procura della Repubblica di Caltanissetta in data 29 gennaio 1998 ed altrettanto fece il cap. De Donno.Su questo episodio si vedano anche la già ricordata testimonianza del dr. Antonio lngroia e quella del ten. Carmelo Canale, le due persone che in quel periodo erano professionalmente più vicine al dr, Borsellino, rese rispettivamente il 12 novembre 1997 e il 24 marzo 1998 alla Corte d’Assise di Caltanissetta nel procedimento contro Riina Salvatore + 17, ricordate anche nella già citata Ordinanza della d. sa Gilda Lo Forti, al capitolo XIII ( pagg. 197 e seguenti ). Le loro dichiarazioni confermano tempi ed argomenti ricordati da me e De Donno.
ln questi ultimi giorni, leggendo le sopra citate dichiarazioni del tenente Canale,ho potuto ricordare l’ultimo incontro che io ebbi con Paolo Borsellino,di cui mi ero dimenticato non avendolo trascritto nella mia agenda. Il magistrato, di rientro dalla Germania, nella mattinata del 10 luglio 1992 mi incontrò negli uffici del ROS parlandomi di Schembri Gioacchino, arrestato dalla Polizia tedesca su segnalazione del ROS e da lui interrogato, unitamente alla collega d. sa Teresa Maria Principato, convincendolo a collaborare. La sera stessa io partii per Catania e Reggio Calabria, mentre l’indomani, 11 luglio 1992, il dr. Borsellino cenava al circolo del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con il generale Subranni, con cui era in cordiali rapporti da tempo, il colonnello Obinu ed il tenente Canale del ROS, a dimostrazione della perdurante sua sintonia umana e professionale con il Reparto. (vds. agenda del dr. Borsellino dell’anno 1992 )".
Uccisione di Borsellino e "Mafia e appalti" Palermo, 20 ott (Velino) - “Il 19 luglio 1992 il dr. Borsellino e cinque Agenti della sua scorta vennero uccisi in via D’Amelio a Palermo. Tutti, penso, ricordino ancora il clima che si venne ad instaurare dopo quelle morti; sembrava che lo Stato si fosse disfatto e le contestazioni subite, in quei periodi, dal suoi massimi rappresentanti, ne furono la più evidente esemplificazione.
ln quell’estate, tra i magistrati della Procura della Repubblica di Palermo, le due stragi provocarono aspre polemiche, culminate in un documento di forte contestazione nei confronti del Procuratore Giammanco, sottoscritto da un significativo numero di suoi Sostituti. ll fatto ebbe ampio risalto nei media e diede luogo a vivaci contrasti anche in ambito politico nazionale ( vds. articoli pubblicati da ‘ la Repubblica ‘ nei giorni 24 e 25 luglio 1992 ). Peraltro che esistessero queste criticità all`interno della Procura, è stato autorevolmente confermato dallo stesso Procuratore Caselli, in sede di esame dibattimentale qui svoltosi il 25 settembre 2009, quando egli ha accennato al fatto di avere trovato al suo insediamento ( 15.01.1993 ) ‘ un ufficio dilaniato da divisioni’. Il 20 luglio 1992, quindi il giorno successivo alla strage di via D’Amelio, mentre non era ancora aperta la camera ardente per le vittime, veniva depositata la Richiesta di archiviazione, redatta dalla Procura della Repubblica di Palermo, concernente la parte dell’inchiesta Mafia e appalti relativa a imprenditori e politici contraddistinta dal n. 2789/90 R.G. della Procura. Il relativo Decreto di archiviazione porta la data del 14 agosto 1992, un periodo di ferie generalizzato in cui non si poteva certo dire che tutte le attenzioni degli italiani fossero puntate sui problemi giudiziari che si dibattevano a Palermo. Malgrado tre circostanziate richieste, rivolte al Tribunale di Palermo in quest’ultimo periodo dal mio difensore, l’atto, sino a tutto il 19 ottobre non ci è stato ancora rilasciato. Le nostre indagini, le considerazioni fatte prima con Giovanni Falcone e poi con Paolo Borsellino, le stragi di Capaci e via D’Amelio, gli omicidi dell’on. Lima e del Mllo Guazzelli, il rifiuto manifestato dalla Procura di Palermo di sentire Giuseppe Li Pera e, per ultimo, le decisioni di due diversi Uffici del Tribunale di Palermo circa la non conducibilità investigativa dell’inchiesta Mafia e appalti, almeno per quanto riguardava politici ed imprenditori, mi portarono a ritenere che, anche una parte di quella magistratura, oltre ad ambienti politici ed imprenditoriali, temesse la prosecuzione dell’ indagine che stavamo conducendo. Il complesso dei fatti sopra riportati e le ultime decisioni deIl’AG palermitana, crearono un clima di incomprensione, tra Procura di Palermo e il ROS, che nel tempo ha lasciato un segno nel rapporti tra i due organismi e ha condizionato progressivamente l’efficacia dell’attività operativa del Reparto in Sicilia. ll gravissimo momento attraversato dalla società italiana , iniziatosi nella primavera di quell’anno 1992, mi determinò, nella qualità di responsabile operativo del ROS, a dare un nuovo impulso all`attività investigativa, definendo una più incisiva strategia basata, da un lato, sulla ricerca dei più importanti latitanti mafiosi ( a riguardo fu costituito uno specifico gruppo operativo comandato dal cap. Sergio De Caprio) e , dall’altro, a sollecitare la ricerca di migliori fonti informative di settore. estesa a tutto il territorio nazionale ' I risultati di queste iniziative si fecero presto sentire perché, dalla sensibilizzazione di una fonte detenuta, contattata del Mllo Nino Lombardo, si acquisì il dato fondamentale che, per arrivare a Riina, occorreva riferirsi alla famiglia mafiosa della Noce, capeggiata da Raffaele Ganci. Questa notizia costituì la base di partenza dell’attività operativa del cap. De Caprio per la ricerca e la successiva cattura di Riina. Sempre in quel periodo, il cap. De Donno, sfruttando un occasionale incontro con Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino, che l’ufficiale aveva a suo tempo arrestato per un problema di appalti, tentava un approccio mirato a realizzare un contatto confidenziale con l’ex sindaco di Palermo, fondamentale elemento di snodo dei rapporti criminali tra mafia e mondo politico-imprenditoriale. Queste attività sono parte di quanto sviluppò sul piano operativo il ROS in quella fase drammatica e convulsa, mentre sul terreno le attività delle altre FF. PP. Risultavano poco consistenti e qualificate. Mai come in quei mesi ebbi la sensazione di agire da solo e senza referenti certi a livello giudiziario. Sulla base di queste considerazioni, non avendo materialmente la possibilità di sviluppare il progetto investigativo originato dall’inchiesta Mafia e appalti, spostammo la nostra presenza operativa su Catania, sfruttando le deleghe ricevute dal dr, Felice Lima che aveva raccolto le confessioni del geometra Li Pera. Da questo filone di indagini scaturì, per la conseguente attivazione della Procura della Repubblica di Palermo, anche il procedimento n. 1682/93 del Gip di Palermo a carico di Riina Salvatore + 24, connesso al condizionamento degli appalti pubblici ( vds. estratto della relativa Ordinanza di custodia cautelare emessa in data 25 giugno l993 ). Non ricevendo nessuna ulteriore delega di indagine relativa agli appalti, decisi di spostare la Sezione comandata dal capitano De Donno a Napoli dove,d’intesa con la locale Direzione Distrettuale Antimafia, venne riproposto lo stesso modulo operativo praticato in Sicilia e cioé l`attacco agli interessi economici della criminalità
organizzata nel settore degli appalti pubblici. L’attività si sviluppò nell’arco di circa tre anni
producendo numerosi arresti e diversi procedimenti giudiziari conclusi con condanne definitive. Ad ulteriore dimostrazione della bontà delle scelte investigative, a suo tempo operate, tra il 1996 ed il 2000, la Sezione del capitano De Donno ripropose con successo lo stesso modello operativo alle dipendenze della DDA di Reggio Calabria. Ritornando alle giornate dell’estate 1992, il 5 agosto (vds. agenda 1992 ), a Seguito del buon esito del tentativo condotto da De Donno, iniziarono i miei rapporti con Vito Ciancimino, per i quali mi riservo una puntuale disamina quando, finito il processo mediatico ora in corso, avrò potuto ascoltare ciò che i testi citati diranno in merito. Ricordo comunque che, negli anni ed in diverse sedi giudiziarie, ho giá ripetutamente trattato questa particolare vicenda.Nell’ottica di quanto sopra esposto, avvalendomi delle facoltà concesse all’ufficìale di PG, mi astenni, nella fase appena ricordata, dal rendere noto alla Procura della Repubblica di Palermo il rapporto confidenziale instaurato, per evitare prematuro ed indesiderate attenzioni sulla persona, tentare di acquisire elementi informativi sicuramente nella disponibilità del Ciancimino e, nell’ipotesi migliore, giungere ad una piena, formale collaborazione”.
Gli incontri con Violante
"Passo ora alla vicenda degli incontri con l`on. Violante, in relazione ai contatti con Vito
Ciancimino. Il 16 ottobre 1992 ( vds. agenda 1992 }, ricevetti una telefonata dall’on. Luciano
Violante, che conoscevo da tempo per precedenti vicende professionali, il quale mi preannunciò,
per le ore 18.00 del successivo 20 ottobre, l'audizione del gen. Subranni, comandante del ROS, mia, quale vicecomandante e responsabile operativo del Reparto, da. parte della Commissione
Parlamentare Antimafia. Ricordo che l‘on. Violante ne era stato nominato presidente da poco più di un mese. ll 18 ottobre 1992 ( vds. agenda 1992 ) incontrai, per la quarta volta, Vito Ciancimino. Costui, nel precedente incontro dell’1.10. 1992, mi aveva consegnato,in due copie, la bozza di un libro, da lui intitolato 'Le Mafie', che stava ultimando e che trattava di tutte le vicende politiche ed amministrative da lui vissute come protagonista e testimone della realtà siciliana di quegli anni, sostenendo la tesi di una sostanziale convergenza di moventi operativi tra mafiosi e politici. ll Ciancimino mi dìsse che aveva preliminarmente distribuito qualche copia per sensibilizzare al suo caso persone in grado di poterlo aiutare una volta conosciute le verità che lo riguardavano. La consegna fattami era stata motivata dalla circostanza che egli chiedeva un interessamento per essere inteso, dalla Commissione Parlamentare Antimafia senza alcuna condizione, che invece in altre precedenti richieste ed in pubbliche dichiarazioni aveva posto.; aggiunse che, in quei giorni avrebbe nuovamente richiesto un’audizione, così come aveva più volte fatto nel corso degli anni, sino a quel momento, però, senza esito. lo ritenni potenzialmente rilevante quella disponibilità, posto che il Ciancimino impersonava all`epoca la sintesi dei rapporti collusivi tra mafia, politica ed imprenditoria. Gli argomenti trattati nel libro, secondo Ciancimino avrebbero dovuto convincere la Commissione dell’importanza dei fatti che lui voleva discutere, ritenendo che poi, in quella sede, avrebbe potuto fare luce su molti episodi e chiarire la sua posizione. Egli era convinto che dietro le morti di Salvo Lima, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, oltre la matrice mafiosa vi fosse anche un disegno politico; di questo e di altre vicende intendeva parlare espressamente davanti ad un organismo politico. ( vds. i processi verbali di interrogatorio resi da Vito Ciancimino ai magistrati, dr. Giancarlo Caselli e dr. Antonio lngroia, alle ore 0930 del 17 marzo 1993 alle ore 17.30 del 31 marzo 1993).
ln questo quarto incontro, come già aveva fatto in quello precedente, il Ciancimino chiese
nuovamente un mio interessamento per ottenere l’audizione a cui aspirava. Pensando alla mia
prossima presentazione davanti alla Commissione Antimafia, gli promisi il mio interessamento
qualora avessi riscontrato che ne esistevano le possibilità, già sapendo quindi che Ciancimino aveva rivolto o stava per rivolgere un’ulteriore, formale richiesta di audizione. ll libro, citato dal
Ciancimino nel corso dei suoi interrogatori, fu trasmesso, il 2 febbraio 1993 dal ROS ai magistrati
della Procura della Repubblica di Palermo. ( vds. il processo verbale di interrogatorio di Vito
Ciancimino redatto il 18 febbraio 1993 dai magistrati della Procura della Repubblica di Palermo). ll 20 ottobre 1992 (vds. agenda 1992 ), nel pomeriggio, si svolse la preannunciata audizione da parte della Commissione Antimafia che fu preceduta da un mio incontro privato con l`on. Violante. Nel corso del colloquio, Von, Violante mi informò del fatto che la Commissione avrebbe avviato un’inchiesta sui rapporti tra mafia e politica e per tale motivo mi chiese una valutazione circa la sua intenzione di procedere all’audizione dei collaboratori di giustizia già noti in tema di criminalità mafiosa, ad iniziare da Tommaso Buscetta. Gli espressi il mio parere sostanzialmente favorevole.
Questa notizia mi convinse ad informare l’on. Violante che avevo iniziato un rapporto, di natura
confidenziale, con Vito Ciancimino, che si trovava in stato di libertà, il quale, tra l’altro, mi aveva
manifestato la volontà di essere ascoltato dalla Commissione Antimafia senza porre alcuna
condizione sulle modalità di esecuzione dell’incontro, così come invece aveva indicato in
precedenti sue dichiarazioni pubbliche.
A riguardo gli sottolineai l’importanza dell’eventuale contributo che lo stesso Ciancimino, se
effettivamente collaborativo, avrebbe potuto dare alle indagini della Commissione. Aggiunsi infatti quanto mi aveva detto il Ciancimino sulle stragi e sulla sua convinzione che vi fosse dietro di esse anche una matrice politica di cui egli voleva trattare davanti alla Commissione. L’on. Violante mi spiegò che l’interessato doveva presentare una istanza formale a riguardo. A conclusione dell’incontro, il presidente Violante mi chiese se l’Autorità giudiziaria fosse stata informata dei miei contatti con Ciancimino ed io gli risposi di no, spiegando che intendevo avvalermi della facoltà, concessa all’ufficiale di PG, ai sensi dell’art 203 CPP, di non rivelare le proprie fonti confidenziali.
Precisai che, in quel momento, se ritenevo doveroso informare della mia attività lui che era titolare di una funzione istituzionale equiparabile si quella della Magistratura, per quanto riguardava l’Autorità Giudiziaria di Palermo, invece, per via dei fatti che ho sopra descritto e che lui ben conosceva, mi riservavo di metterla al corrente allorquando il nuovo Procuratore della Repubblica, come si prevedeva che avvenisse di lì a poco, avesse assunto le funzioni. L’on Violante non replicò; ritenni ed ho ritenuto sino a pochi giorni orsono che approvasse il mio atteggiamento, perché, in caso contrario, egli avrebbe avuto tutta lautorità per informare di un comportamento giudicato non corretto, sia la Procura della Repubblica competente che i miei Superiori politici e tecnici. ll 28 ottobre 1992 ( vds. agenda l992 ), mi recai nuovamente dall’0n. Violante consegnandogli copia del libro di Vito Ciancimino, intitolato ‘Le Mafie’, ribadendogli che, secondo quanto da lui riferitomi, conteneva gli argomenti politici che avrebbe voluto trattare con la Commissione Parlamentare. Mi riservai ovviamente di comunicargli ogni eventuale novità che avessi potuto apprendere al riguardo.
Il 29 ottobre 1992, nove giorni dopo la mia audizione, nel corso della settima seduta della
Commissione Antimafia, così come emerge dal relativo verbale redatto, l’on. Violante, nel definire il suo programma di lavoro sulla materia dei rapporti tra mafiosi e politici, propose che tosse dato vita ad una serie di attività tra cui, testuale: ‘ .... . sentire quei collaboratori che possono essere particolarmente utili ( mi riferisco ai pentiti ) e Vito Ciancimino, che lo ha chiesto revocando la condizione, posta nel passato, di essere ripreso da canali televisivi pubblici o privati in diretta nel momento in cui rendeva la deposizione ...’ ( dal verbale della seduta del 29 ottobre 1992 della Commissione Antimafia presieduta dall’on. Violante ). Il 4 novembre I992 ( vds. agenda 1992 ), fui convocato ancora dal Presidente Violante che chiese notizie in merito al prosieguo dell’attività del ROS per quanto concerneva il condizionamento degli appalti pubblici da parte della criminalità organizzata. Spiegai che erano in corso ulteriori attività investigative conseguenti alle acquisizioni raggiunte con la prima trance d’indagine e l`on. Violante mi chiese di tenere informato in merito il dr. Piero Grasso, all`epoca consulente della Commissione Parlamentare Antimafia. Il 1 dicembre 1992 ( vds. agenda 1992 ) incontrai intatti il dr. Grasso, ragguagliandolo nelle linee generali sulla attività investigativa in atto relativa agli appalti pubblici. ll 19 dicembre 1992 venne arrestato Vito Ciancimino.
Caselli e i ricordi lacunosi di Violante
"ll 10 gennaio 1993 (vds. agenda 1993) incontrai a Torino il dr. Giancarlo Caselli che, di lì a
qualche giorno, doveva assumere la carica di Procuratore della Repubblica di Palermo. Con il
magistrato esistevano rapporti che risalivano all’epoca della lotta al terrorismo e prima di iniziare la nuova attività il dr. Caselli mi aveva chiesto di fargli un preliminare punto di situazione sulla realtà palermitana. Sul posto, accompagnato dal collega col. Gianpaolo Sechi, seppi anche della cattura, in Borgomanero (NO), di Baldassare Di Maggio, che si era aperto subito a collaborazione,
concordando con il dr. Caselli, che era già in contatto con i magistrati palermitani, il tipo di attività che doveva conseguentemente svolgere il Reparto del ROS che da tempo, come prima ho ricordato, sviluppava una specifica ricerca, d’intesa con la Procura di Palermo, volta alla cattura di Salvatore Riina.ln tale circostanza, nel quadro generale della situazione che delineai, riferii, per sommi capi, anche del mio tentativo di approccio con Vito Ciancimino ed il dr.Caselli, che si mostrò interessato, mi chiese di tenerlo informato degli eventuali sviluppi.ll 15 gennaio 1993 venne arrestato dal ROS Riina Salvatore. Nella stessa giornata, il dr. Giancarlo Caselli assunse le funzioni di Procuratore della Repubblica di Palermo.
ll 22 gennaio 1993 ( vds. agenda 1993 ) svolsi un colloquio investigativo con Vito Ciancimino,
sollecitatomi dal suo difensore avv. Giorgio Ghiron ed autorizzato dal Ministero della Giustizia (
vds. documentazione ). Subito dopo ne riferii direttamente gli esiti al Procuratore della Repubblica di Palermo, dr. Giancarlo Caselli che avevo preliminarmente informato dell' iniziativa, il quale mi aspettava nella sede del ROS, a Roma, insieme al gen. Subranni, per conoscerne gli esiti. La tempestività nel ragguagliare il Procuratore della Repubblica di Palermo sta a dimostrare che da parte mia, nella vicenda, non vi era alcuna volontà di nascondere qualcosa, ma solo quella di incanalare un tentativo sicuramente difficile, ma ,potenzialmente molto fruttuoso, verso il referente non solo competente, ma anche pienamente disposto ad ascoltarmi e sostenermi, in quanto convinto dell’importanza dell’iniziativa. ll 24 gennaio 1993, con protocollo n, 12864/2 del ROS, ragguagliai anche formalmente il Procuratore della Repubblica di Palermo del colloquio investigativo svolto con Vito Ciancimino, comunicando la sua volontà di essere ascoltato dal magistrato. (vds. nota di comunicazione) ll 27 gennaio 1993 iniziarono gli interrogatori di Vito Ciancimino da parte del dr.Giancarlo Caselli e del dr. Antonio Ingroia (vds. dichiarazioni rese da Vito Ciancimino ai magistrati della Procura della Repubblica di Palermo a partire dal 27 gennaio 1993). Nel corso delle sue dichiarazioni il Ciancimino riepilogò le modalità dei suoi contatti con me e De Donno su cui nulla ebbero ad eccepire i magistrati procedenti, Caselli ed lngroia ( vds. dichiarazioni rese il 17 marzo 1993, alle ore 0930 da Vito Ciancimino ai magistrati della Procura di Palermo. Nei giorni 14 e 15 maggio 1993 (vds. agenda 1993 ), su specifìco invito dell’on. Luciano Violante, presi parte al " Forum su Economie e Criminalità",m organizzato a Roma dalla Commissione Parlamentare Antimafia, con un intervento relativo al condizionamento criminale degli appalti pubblici. Il 15 giugno 1993 ( vds. agenda 1993 ), ricevetti una telefonata dal difensore di Vito Ciancimino, l`avv. Giorgio Ghiron, il quale , a nome del suo cliente, ribadì l’intenzione di essere inteso da parte della Commissione Antimalia. Gli risposi dicendogli di produrre una formale istanza in merito. Il 18 giugno 1993 ( vds. agenda 1993 ), sulla scorta delle indagini del Ros, venne data esecuzione all’Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Riina Salvatore + 24, definita dai magistrati palermitani richiedenti le misure ( Richiesta misure cautelari n. 6280/92 DDA di Palermo ) , tra cui anche il dr. Antonio lngroia, un salto di qualità nell’azione di contrasto all’attività di Cosa nostra nel settore del condizionamento mafioso degli appalti. Questo a conferma di quanto dianzi affermato circa la determinazione del ROS di voler continuare le indagini nel settore degli appalti. Il 2 luglio 1993 ( vds. agenda 1993 ), incontrai nel mio ufficio il dr. Caselli ed il dr. lngroia.
Tra le altre cose fu trattato degli interrogatori di Vito Ciancimino per i quali i due magistrati mostrarono il loro scetticismo alla luce delle dichiarazioni ritenute non conclusive sino a quel punto rilasciate dall’ex sindaco di Palermo. Il 7 luglio 1993 ( vds. agenda 1993 ) incontrai nuovamente il Presidente Violante che, oltre ad uno scambio di idee in generale, desiderava conoscere quanto c’era di concreto a proposito delle notizie giornalistiche che da qualche tempo circolavanoo circa la collaborazione di Vito Ciancimino con i magistrati della Procura della Repubblica di Palermo. Gli risposi che gli interrogatori erano in corso, ma che gli ‘esiti non erano incoraggianti’.
Il 13 luglio 1993 ( vds. agenda 1993 ), previa telefonata del giorno prima, mi venne a trovare l’avv. Ghiron il quale, a proposito dell’andamento, sino al quel punto non significativo, degli interrogatori di Ciancimino mi disse che il suo difeso si era ‘determinato a fornire un più sostanziale contributo di conoscenza agli inquirenti’. Nella circostanza feci presente che, un’eventuale audizione ancora una volta sollecitata dal Ghiron, doveva comunque essere formalmente richiesta e, a mio avviso, poteva avere migliori possibilità di accoglimento alla luce di una fattiva collaborazione del Ciancimino con i magistrati della Procura di Palermo. Il 22 luglio 1993 ( vds. agenda 1993) i magistrati della Procura della Repubblica di Palermo effettuarono un ulteriore interrogatorio di Vito Ciancimino, anche da me caldeggiato alla luce delle notizie fornitemi dall’avv. Ghiron. L’atto fu ancora una volta deludente; di questo e di altre vicende di servizio, nel pomeriggio stesso, parlai con il dr. Caselli sul volo di Stato che conduceva entrambi a Palermo.
ll 27 novembre 1993 ( vds.agenda 1993) , incontrai ancora il Presidente Violante e nel corso del colloquio trattammo argomenti vari, di cui non ho un preciso ricordo, ma che sicuramente erano connessi alla mia attività professionale. ll 21 gennaio 1994 ( vds. agenda 1994), su richiesta dell’interessato, fattami pervenire dall’avv. Ghiron, accompagnai il dr. Caselli da Vito Ciancimino che sollecitava una ripresa del suo caso da parte della Procura di Palermo. Gli argomenti addotti, a valutazione del magistrato, risultarono del tutto insufficienti per riaprire il caso. Nel corso degli anni successivi ho continuato a mantenere cordiali rapporti con l’on. Violante che ha mostrato di apprezzare le mie valutazioni su aspetti per i quali potevo offrire il contributo della mia esperienza professionale. Per ultimo, il 6 novembre 2006 ( vds. agenda 2006 ) , quando ero Direttore del Sisde, incontrai l’on. Violante, il quale mi contattò per avere un parere sull’impostazione complessiva della nuova legge per i Servizi di Sicurezza, all’epoca in via di elaborazione.
Per concludere, sottolineo che per me sono risultate di grande importanza, pur con le lacune e le
inesattezze che ho documentato, le dichiarazioni rilasciate dall’on. Violante. Egli, infatti, ricordando seppure lacunosamente modi e tempi dei nostri incontri, ha evidenziato due aspetti fondamentali e cioè che: 'a) il mio comportamento è stato improntato alla massima trasparenza, avendo provveduto a parlargli del rapporto con Vito Ciancimino, senza che nessuna circostanza mi obbligasse ad avvertirlo; b) la esplicitazione del mio rapporto con Vito Ciancimino, confermata da persona terza quale l’on. Violante e da considerare quindi estranea a queste vicende, rappresenta di per sé la dimostrazione dell’inesistenza, almeno per quanto riguarda il ROS ed i suoi componenti, di una trattativa con Cosa nostra che avrebbe costituito, secondo i pubblici ministeri, il contesto causale della condotta di favoreggiamento di cui è processo. Infatti, ogni trattativa del genere, e questa in modo particolare perché implicava comunque la resa vergognosa dello Stato ad una banda di volgari assassini, presuppone il più rigoroso rispetto del segreto. Il fatto di avere reso noto il contatto con Ciancimino, avendone parlato senza ritardo a due istanze istituzionali, subito con il Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia e poi, appena possibile, con il Procuratore della Repubblica competente, esclude nei fatti, qualsiasi tipo di iniziativa a riguardo ascrivibile in qualche modo a me o ai miei dipendenti".