martedì 10 novembre 2009

Via Poma, processo per il fidanzato di Simonetta Cesaroni


Ci sarà un processo per l’omicidio di Simonetta Cesaroni, il primo dopo quasi venti anni di indagini. E a subirlo sarà il suo ex fidanzato Raniero Busco, perché ieri il gup Maddalena Cipriani ha deciso che l’uomo andava processato per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, e ha fissato l’udienza al 3 febbraio prossimo davanti alla III Corte d’assise. Meno di un’ora di Camera di consiglio, e poi la lettura della decisione: «Preso atto del capo di imputazione e delle prove addotte dal pubblico ministero che corrispondono a tre indizi, di cui due sicuri e uno probabile e, preso atto che la prova contraria non è stata dimostrata, si dispone il rinvio a giudizio di Raniero Busco». Poche righe che fanno precipitare nell’abisso l’uomo che, nel ’90, ha avuto un relazione con la vittima. Gli elementi che la procura, rappresentata dal pm Ilaria Calò, ha portato a sostegno della tesi accusatoria sono principalmente scientifici. Si è arrivati a Busco forse quasi per esclusione, perché quando tutti i reperti sono stati presi nuovamente in esame e rianalizzati con le moderne tecnologie, è venuto fuori un Dna da una traccia di saliva. I periti lo hanno isolato sul reggiseno che indossava Simonetta nel momento in cui venne uccisa, e corrispondeva proprio a quello di Busco. A quel punto, gli inquirenti hanno pensato che tutti i codici genetici dei “sospettati” in questi ultimi venti anni andassero rifatti. Ed è venuta fuori la traccia che ha portato alla iscrizione sul registro degli indagati dell’ex fidanzato. Il pubblico ministero Roberto Cavallone, titolare dell’inchiesta prima di essere nominato procuratore capo a Sanremo, ha pensato che, comunque, non bastasse questo solo elemento per poter sostenere un’accusa in Assise ed è andato avanti con le indagini.
Si arrivò a una traccia di sangue sulla porta dell’ufficio di via Poma, non analizzata, e a un morso sul seno sinistro della vittima. Il primo elemento non ha dato esiti certi, anche se non ha escluso che potesse trattarsi anche del Dna di Busco, il secondo invece ha portato a risultati inaspettati. La ferita sul seno, infatti, era caratterizzata da un particolare: l’accavallamento dei denti dell’arcata inferiore di chi l’aveva fatta. E corrispondeva a quella dell’ex fidanzato, almeno secondo le conclusioni dell’accusa. A questo, poi, si è aggiunto che anche l’alibi presentato dall’uomo faceva acqua. L’amico che avrebbe dovuto fornirglielo, aveva ricordato che il giorno del delitto era fuori Roma. Quindi, non con Raniero. L’avvocato Paolo Loria che lo difende, dice che «quanto sta accadendo è assurdo e paradossale, perché Busco non ha niente a che vedere con l’omicidio. Voleva bene a Simonetta e non aveva ragioni per ucciderla». Ma il gup ha ritenuto che gli elementi fossero sufficienti per un processo e lo ha rinviato a giudizio. Qualche perplessità iniziale sulle accuse a suo carico sembra averla avuta anche il legale della famiglia Cesaroni, Lucio Molinaro, secondo il quale la consapevolezza che potesse essere stato lui ha preso forma man mano che i periti illustravano le loro conclusioni. E la mamma della vittima, Anna Di Giambattista, proprio per questo non riesce a darsi pace: «Perché ci hanno fatto subìre tutto questo dolore? – dice – Non potevano fare questa indagine venti anni fa? Il morso è stato rilevato anche dal primo medico legale con l’autopsia».
Certo, la Corte d’assise avrà un bel lavoro da fare e una difficile decisione da prendere, perché sono tanti gli aspetti che rimangono misteriosi. Se Busco ha ucciso Simonetta, è sempre lui che ha pulito l’appartamento in modo quasi maniacale? E per quale ragione? Debole anche il movente e persino sul morso c’è qualcosa che andrebbe chiarito, perché l’arcata dentaria sulla quale si basano le accuse è quella inferiore, ma nelle foto del cadavere di Simonetta appare in alto. Come se l’omicida le avesse dato il morso a testa in giù.
Test del DNA. Tutti i tipi di organismi possono essere identificati mediante l’esame delle sequenze del Dna, che sono uniche per ogni specie. Per identificare gli individui, gli scienziati forensi esaminano 13 regioni del Dna che variano da persona a persona e utilizzano i dati per creare un profilo del Dna di quell’individuo. C’è una possibilità estremamente ridotta che un altro individuo abbia lo stesso profilo del Dna.

2 commenti:

  1. Non credo che sia lui il colpevole, tempo perso.

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  2. Ma il figlio dell' architetto che fine ha fatto?

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